Il nome clessidra deriva dal greco κλεψύδρα (klepsýdra), che letteralmente significa “ruba-acqua”, ma in realtà uno dei più antichi esemplari di questo strumento fu ritrovato nella tomba del faraone Amenhotep I, risalente al XV secolo a.C. Le prime forme non erano come quelle che vediamo oggi, ma bensì erano dei semplici dispositivi a forma di cono riempiti d’acqua, la cui regolare fuoriuscita determinava un lasso di tempo predeterminato; in seguito ne vennero costruite altre di varie forme, con il medesimo funzionamento, fino all’avvento della clessidra a sabbia, chiamata Clepsamia.
La predominanza che aveva Venezia nella lavorazione del vetro sin dal VIII sec. permise di realizzare un nuovo metodo per calcolare gli intervalli di tempo.
La clessidra era composta da due fiale coniche unite verticalmente al collo con un disco di metallo forato (generalmente in ottone); il tutto era fissato con della cera rivestita di stoffa stretta con fili; la sabbia di silice, polvere di marmo, di piombo, di guscio di uovo o di corallo si riversava da una fiala a l’altra, la cui taratura era determinata dal diametro del foro, e della quantità di sabbia.